06 settembre 2003 - La
Sicilia
Carlo
Muratori patriarca del folk
Era un miracolo. Si incrociavano
le note, la grancassa fremeva, la voce che spezzava la nostalgica
rigidità di una partitura superata.
Era tutto nuovo. Era la frontiera della musica popolare che
spingeva, posandosi su terre inesplorate.
Carlo Muratori accarezzava la sua chitarra, poi irrompeva, andava
giù, era la vocazione che coniugava ardire e irruenza,
la vocazione del patriarca. Il patriarca del folk.
I musicisti perlomeno lo chiamavano così, dal palco;
lui, il direttore artistico di «Lithos» (un idealista,
forse?), aveva gli occhi lucidi.
Il pubblico a credere nella stessa utopia. La celebrazione stupefacente
del talento, della volontà che diventa ostinazione.
E Muratori ha dedicato «Acqua e focu» ai testardi
(da «Stella Maris» del '96), ai visionari, a quelli
che hanno ancora traguardi da raggiungere e inseguono fiduciosi
l'impalpabile.
Da dove arriva la musica? Dalla memoria dei vecchi anche.
A Sortino, la rassegna ideata dall'etnomusicologo, cantautore
e compositore siracusano, giovedì sera, ha accolto in
grembo gli adepti di questa misteriosa ala del sound etnico.
Il rock che traduceva l'impeto dei cantori calabresi, era la
band «Il parto delle nuvole pesanti»: Giuseppe Voltarelli
(fisarmonica, voce, chitarra); Salvatore De Siena (percussioni)
e Amerigo Sirianni (chitarra e mandolino). Raccontavano la terra
degli emigranti, erano sconvenienti, impudici.
Un fenomeno, una tempesta di adrenalina, la «Raggia»
(intraducibile, è il titolo di uno dei brani proposti)
di un lamento corale, un raccordo ideale e scanzonato del loro
retaggio di esuli mancati.
Ma erano molto di più. C'erano i Flam & Co, catanesi,
virtuosi dell'area mediterranea, con chiare interferenze latino-americane;
eppoi il trio «Salvi-Ciuma-Tombesi», manfrine e
tarantelle, il soliloquio dell'organetto che si affidava al
gruppo, ognuno con la sua vicenda regionale (la Puglia di Mario
Salvi, il Veneto di Roberto Tombesi, la Romagna di Stefano Del
Vecchio, detto Ciuma).
Da dove arriva la musica? Quale strada percorre, fino al compimento
festoso? I giovani del paese erano i medesimi che avevano seguito
«Lithos» a Ferla, Buscemi, Palazzolo. Per loro,
tappa dopo tappa, era come stropicciare le ali, provare ad alzarsi
in volo, immmaginare un verosimile riscatto soltanto partecipando
elettivamente ad un'epifania mai goduta sino ad allora.
Giuseppe Voltarelli li invitava a non soccombere, «non
smettete mai di suonare». La musica che era poi, per tutti
loro, una grande metafora. Quasi fosse la vita stessa, appesa
a labili certezze, eppure mai parca di attese.
Dove risuona l'eco degli anziani, il giubilo dei devoti, la
lingua delle stagioni, «la lingua stanca dei vecchi»
diceva Muratori, là e soltanto in quel luogo sarebbe
tornata «Lithos». Si entrerà nella stanza
abitata nei secoli dalle nostre radici, avvertiva il cantautore.
Era vero. Impercettibili le parole degli avi, ma la musica le
suggeriva fedelmente. Da dove arriva la musica?
L.S. |